Il problema non sono le puttane, i bunga bunga ecc., il problema è di fondo, ed è impressionante come viene ampiamente ignorato o si finge di ignorarlo.
Il problema è che il sistema politico degli Stati moderni, che si è affermato nei secoli, a partire dall’Antica Grecia, passando per la Rivoluzione Francese, i Grandi Conflitti del XX Secolo, gli Esperimenti, insopprimibili canali dell’evoluzione (lo stesso Comunismo è stato un esperimento fallito nelle condizioni in atto, ma pur sempre rivolto al bene, non certo al male, dell’Umanità), almeno per quanto riguarda la c.d. Area Occidentale, allargata a tutti i Paesi che con essa si identificano o si rapportano come modello, è la DEMOCRAZIA.
Un sistema complesso, delicato, articolato in mille sottigliezze, dove c’è un bilanciamento tra vari poteri, interessi, prospettive per il futuro, dove il governo e l’opposizione contribuiscono in egual misura alla conduzione e alla crescita sociale, economica, culturale, il primo stando a sentire le critiche le osservazioni ecc., l’altra cercando il pelo nell’uovo nell’attività di governo, dove c’è una costante compensazione tra miglioramenti produttivi, industriali, commerciali, ricchezze economiche anche stratosferiche, possibilità di decidere anche del futuro degli altri e la situazione di quelli che nei film comici che abbondano oggi su come è combinata l’Italia, vengono definiti i poveracci, i morti di fame, quelli che non ce la fanno a sbarcare il lunario, come vogliamo dire, il sottoproletariato, i nomadi, gli sbarcati dei “viaggi della speranza”, attraverso leggi, utili interventi, stanziamenti, studi e quant’altro; e l’alternanza tra varie Forze Politiche al potere determina il susseguirsi di utili periodi di espansione e di conservazione di quanto acquisito.
Perché tutto questo? Perché si è constatato che così, e solo così, migliora la qualità della vita, migliora l’economia e la civiltà di un Paese, migliorano le aspettative di tutti e ci si allontana sempre di più dai tempi bui del passato, dal Medio Evo, dal dilagare di guerre e pestilenze dei secoli bui post rinascimentali.
Ora, rispetto a tutto questo, quale è il problema del berlusconismo?
L’On. Berlusconi, di fronte ai problemi, alle scelte, agli investimenti, alle iniziative, alle riforme, dice GHE PENSI MI. E io penso che sia in buona fede quando lo dice. Lui ritiene, cioè, di essere il Deus ex machina per qualsiasi soluzione.
In altri termini, a tutto quanto sopra prospettato non crede, non gradisce il richiamo alla democrazia.
Lui vuole per sé il potere assoluto, appoggiato da alcuni del suo partito (bisogna togliere gli opportunisti, gli utili idioti, i voltagabbana, i prezzolati, gli implicati in impicci vari, gli imputati, i giocherelloni, diciamo così che pensano più che altro a divertirsi e così via),e alcuni alleati, tra mille distinguo, si pensi all’assolutismo semplicistico e grezzo di un Bossi, che pensa di trovare illusorie scorciatoie per l’agognato federalismo che gli consentirebbe, a suo modo di vedere, di passare, bene o male, alla Storia, il che e non è poco (d’altronde anche qui bisogna escludere gli idealisti che pensano ad altro, federalismo incluso, gli ottusi, i condizionati da un malinteso senso della lealtà, laddove in Politica, Machiavelli docet, valgono solo il bene pubblico e il progresso, ecc.).
Una situazione, così identificata, per forza di cose, assolutamente minoritaria e al di fuori della Storia, fortunatamente, a parte la generica maggioranza in corso.
Questo è il vero problema per cui l’Italia è malata oggi, non ci sono altri problemi.
Guardiamoci intorno, dove è oggi radicato il potere assoluto? Solo nelle dittature nord africane e di alcuni Paesi dell’Estremo Oriente, possiamo dire, lasciando perdere gli Stati tribali e Sultanati Arabi vari.
C’è poi il potere centrale della Chiesa, nelle mani del Papa (una volta Papa-Re); ma lì siamo in presenza di un Massimo Sacerdote (Pontefice Massimo appunto) di una Religione che non ha (o non dovrebbe avere) alcuna ingerenza riconducibile all’anacronistico potere temporale del Papa. Personalmente, mi considero un buon cristiano nel senso che credo nell’esistenza di Dio e nell’onnipotenza e misericordia divina, attenendomi ai canoni della mia Religione per la tradizione, la affermata ritualità socio/culturale, il richiamo spirituale, per cui se prego Gesù Cristo lo faccio in senso escatologico e specificamente a Lui, al di fuori di me, mi rivolgo con tutta l’anima; peraltro non condivido l‘apparato burocratico-affaristico, la politica, l’intolleranza, l’esercizio imperioso del potere e l’accentramento nella figura del Papa. Forse sono un eretico ma non credo che andrò all’Inferno, così come non credo che qualcuno andrà all’Inferno, innanzitutto chi ha una solida legge morale ancorché non creda in Dio.
Ma tutto questo ci porta fuori tema. Ciò che qui conta è che, in ogni caso, il contesto è assolutamente diverso e non è in alcun modo raffrontabile. Il sig. Berlusconi sarà pure papy, ma non è certo Papa, tuttavia forse ne è convinto.
Quando domanda retoricamente ai suoi seguaci “è mai possibile che il Capo del Governo debba essere intercettato, inquisito … ecc…?” raccogliendo (pochi) applausi, non si rende conto che la risposta corretta è “certo! In democrazia anche un Presidente può essere indagato… ecc…” (il Presidente americano Nixon e il caso Watergate ce li siamo dimenticati? Tanto per dire) perché effettivamente si ritiene e si autoproclama legibus solutus.
Così come non si rende conto che, semmai, la domanda (da rivolgere a lui) sarebbe un’altra: “ma lei crede davvero che se i magistrati fossero così potenti e, per giunta, in combutta con finiani, sinistra, comunisti ecc., lei non sarebbe già arrostito da un pezzo? O vuol farci credere che è talmente puro come un giglio che neanche i feroci e assatanati (nonché a ‘sto punto, antitaliani) magistrati riescono ad abbatterla?”
Qui ci vuole un po’ di pazienza, prima o poi ci vuole qualcuno che lo aiuti a rendersi conto.
martedì 25 gennaio 2011
giovedì 20 gennaio 2011
150° ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA - PROPOSTA ECCENTRICA E SEMISERIA DI UN EVENTO CELEBRATIVO
Mi trovai casualmente a Parigi, con la mia famiglia, il 14 luglio 1989.
Suscitava davvero grande emozione vedere le strade gremite di gente in festa; si aveva quasi la sensazione di un corpo unico, ma potremmo anche togliere il quasi. Vero o apparente che fosse, qui il discorso non è di cronaca, ma di considerazioni astratte di riferimento, quello spettacolo induceva ad immaginare un popolo assolutamente unito e orgoglioso, come se non esistessero classi, partiti, appartenenze religiose e territoriali.
Tutti uniti per quell’irrinunziabile minimo comune denominatore della salvaguardia del benessere pubblico e del prestigio, della proiezione verso il futuro del loro Paese, con la forza trainante e rassicurante del passato. Persino l’estrema destra era affratellata da questo spirito, alle altre espressioni socioculturali, non esclusa la sinistra più battagliera; persino i Maghrebini si sentivano e professavano francesi al 100%.
Eppure divisioni politiche, etniche, religiose, anche lì, non mancano, c’è una sinistra radicale, come una destra, c’è integralismo religioso ed etnico, c’è un midi anche in Francia.
Ora, ritornando dalle nostre parti, faccio enorme fatica ad immaginarmi qualcosa di simile anche qui.
L’odio di classe (ricchi e poveri; oltre all’area snob della nobiltà o pseudo-tale, un po’ di qua un po’ di là, ma prevalentemente… di là) ce lo portiamo appresso come il dna; c’è una inconciliabile divisione tra Nord e Sud; un razzismo latente, ma poi neanche tanto, serpeggia nell’animo di tutti, non solo verso altre etnie e altri popoli, ma anche, reciprocamente, tra settentrionali (da Roma in su) e meridionali (in giù – la città di Roma poi è strapazzata da un parte e dall’altra, ma va affermandosi la collocazione-lega al Sud); la divisione religiosa, sostanzialmente incentrata su Cattolici da una parte e Non Cattolici (dove c’è di tutto, inutile specificare) è manichea e ineluttabile; sul fronte politico la contrapposizione Destra/ Sinistra, di remoto retaggio, ma accentuatasi a dismisura col sistema maggioritario è di impronta sostanzialmente estremista e caratterizzata fondamentalmente da odio reciproco.
Immaginiamoci un settentrionale ricco, di destra e cattolico da una parte e un meridionale povero, di sinistra e ateo da un’altra parte, in una discussione sulle rispettive ricette per il governo dell’Italia. Prima o poi si azzufferebbero, come avviene tra esagitati tifosi di calcio (ma anche tra esponenti politici, le cui uscite in TV sono, a volte, surreali); e in mezzo ci sono molteplici variazioni e gradazioni, ma tutte in senso antagonista e intollerante.
Questa è l’Italia, di oggi per moltissime ragioni che si omette qui di esaminare, essendo diverso lo scopo del presente elaborato. Certo fa male al cuore vedere i campi sportivi del resto d’Europa, pur con notevoli e pericolosi eccessi anche lì (evidentemente fronteggiati e tenuti sotto controllo ed osservazione in modo abbastanza efficace), senza gabbie, recinti ecc., con i giocatori quasi a contatto con il pubblico, mentre qui ogni fine settimana è una guerra.
Ora in tale situazione ci accingiamo ad intraprendere iniziative varie, anzi la macchina celebrativa già si muove, per il 150mo anniversario dell’Unità d’Italia, evento non dissimile dall’esempio francese di cui sopra.
Che cosa c’è da immaginare?
In tutte le sedi, televisive, di piazza, di palazzo, nella migliore delle ipotesi, sorrisi melensi e chiacchiere ipocrite tra berlusconiani (dove poi si distinguono e si contrappongono quelli che vogliono i voti per Berlusconi, quelli che vogliono da quest’ultimo soldi, posti, favori, o a loro volta, appoggi politici, artistici, professionali, semmai uno spicchietto o uno spicchione di potere, quelli che strumentalizzano Berlusconi ad altri fini – v. Lega per il federalismo, quelli che, più o meno sotto sotto, preparano il terreno per l’immancabile dopo…, ecc.) e antiberlusconiani (dove pure c’è di tutto in lotta tra tutti: centro, sinistra anche estrema, finiani, democratici in eterna contesa per trovare una leadership, anarchici, qualunquisti e così via); tra cattolici (con varie categorie di antiaboristi, antidivorzisti, antipreservativo, antiricerche varie, antieducazione sessuale, antifamiglie di fatto, antiomosessuali, antimusulmani, anti-altre religioni ecc) e non cattolici (ma italiani? Nonché extracomunitari? Atei? Per caso gay? Appartenenti ad altre religioni tra di loro altrettanto incompatibili?); tra “appartenenti alle classi più abbienti (ma anche qui un ricco ed affermato dirigente o professionista ecc. è un poveraccio al confronto di un Berlusconi, un Tronchetti Provera, una Marcegaglia ecc.)” e c.d. “lavoratori” (dove non manca di farsi viva la solita guerra tra poveri, per cui gli operai si guardano in cagnesco con gli impiegati, e, tra questi, c’è acredine tra i pubblici e i privati); sulla contrapposizione Nord/ Sud (accentuata dal dilagare della Lega) inutile spendere altre parole, basti qui far mente locale ad un mixage tra i vari contrasti sopra menzionati, con in più la solfa Nord/ Sud che vale a rimettere in discussione anche gli equilibri già raggiunti in altre collocazioni. Basti pensare a quante se ne dicono o, in teoria, potrebbero dirsene un cattolico (antiaborista, anti…, anti…, anti ecc.) di Pordenone e un cattolico (parimenti anti…, anti, anti…) di Canicattì, o due berlusconiani (o anti), ma uno di Treviso, e un altro di Catanzaro.
A questo punto vado momentaneamente fuori tema per ricordare come, a partire da Carlo Marx in poi, tutti gli intellettuali, i politici di ogni tendenza, le persone di buon senso e di buona volontà, hanno sempre considerato che le contraddizioni nella società e nell’individuo, devo esplodere per progredire (basta cercare su Google la frase “far esplodere le contraddizioni” per rendersene conto).
In altri termini, se vuoi raggiungere un obiettivo non devi disdegnare, in presenza di condizioni che lo richiedano, di agire in modo addirittura opposto all’obiettivo stesso (la cd. terapia d’urto, o, come nelle vaccinazioni, la somministrazione calibrata e ponderata del morbo stesso che si vuole combattere).
Dobbiamo allora chiederci, stando così le cose, se non sia il caso di cambiare strategia.
Il mio vuole essere un tono provocatorio, eccentrico e semiserio, va da sé, però non lo dico neanche come qualcosa di cui ridere. Vorrei che si riflettesse un po’ su queste cose, nient’altro.
In sostanza, dico io, vogliamo essere aggregati come non mai, compatti come i Francesi? Perché non provare, allora, a disgregare tutto?
Perché non celebrare, su questo abbrivio, il 150° anniversario dell’Unità d’Italia (anche) con un convegno.
Tema del convegno “LE DIVISIONI D’ITALIA”.
In tal caso io proporrei (il tono è sempre quello “provocatorio, eccentrico, semiserio, ma non troppo”) la seguente soluzione:
Divisione dell’Italia in Stati fortemente confederati tra loro, con libera circolazione ed unità di indirizzo, ad es.:
Lombardo-Veneto allargato all’ex Stato sabaudo, Liguria, Emilia-Romagna, nonché Regioni del Nord (nel contesto il Sud Tirolo potrebbe realizzare il suo sogno: fuori dall’Italia e dal bilancio dello Stato italiano – e qui magari il sogno andrebbe sfumandosi, ma non si può avere tutto). Una specie di Repubblica Subalpina, diciamo così.
Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio (compresa forse la Sardegna ed esclusa Roma capitale e satelliti, che continuerebbe ad essere la Città Eterna, la Roma dei Cesari, dei Papi e dei Popoli, e che avrebbe comunque ruolo di centralità e rappresentanza verso l’estero), le Regioni Unite dell’Italia Centrale.
Finalmente la gloriosa Repubblica Partenopea, tutte le Regioni del Sud (compresa o esclusa la Sicilia, che potrebbe avere una collocazione a sé stante, secondo la volontà dei Siciliani stessi).
Quali sarebbero i risultati? Secondo me, a parte quello psicologico di grande liberazione e gioia costruttiva, un risultato di forte unità (chi è più unito di chi non è costretto ad essere unito, ma usufruisce semplicemente di condizioni geografiche, storiche, culturali ed ambientali? Esempi a iosa qui: gli Stati Uniti d’America, la Svizzera, gli stessi Paesi Bassi), progresso e crescita industriale ed economica.
Si stempererebbero naturalmente le contrapposizioni Nord/ Sud; si svilupperebbe una benefica concorrenza in tutti i campi e segnatamente quello turistico (nel quale il nostro Paese, in men che non si dica si collocherebbe ai vertici mondiali).
La struttura coriacea, diciamo pure burocratica e istituzionale del Cattolicesimo, per cui esso si identifica come un polo, rispetto al quale ogni altra aggregazione di idee, di uomini, di tradizioni, di religioni o filosofie frutto del libero pensiero, persino di correnti o tendenze artistiche, costituisce il polo contrapposto, che deriva oggi dalla centralità del Vaticano, parallela e combaciante con la centralità dello Stato Italiano, si disperderebbe e diffonderebbe (come avviene oggi rispetto agli altri Stati) nelle varie realtà decentrate e delle relative organizzazioni e comunità clericali, e non sarebbe più occasione di frizioni, prevaricazioni, e, a volte dure o durissime lotte e contese, come sul divorzio, sull’aborto, sull’eutanasia, sull’educazione sessuale e così via.
Il popolo sarebbe sempre il popolo ad ogni latitudine; sono convinto che quel che unisce tutti i popoli del Mondo, non ha nulla a che vedere con i confini territoriali. La vanga, l’aratro, la vite da coltivare e la legna da ardere, lo scalpello e il martello, il compasso ed ogni altro attrezzo, e i loro derivati moderni, dai computer alle catene di montaggio, tutto questo unisce i popoli del Mondo, come i libri vengono letti da tutti gli intellettuali del Mondo e li uniscono e i mercati dove si vende e si compra e, come si sa, le leggi sono invariate ad ogni latitudine.
Non ci sono contrapposizioni e divisioni qui, se non quelle fisiologiche dei mestieri e delle idee.
La contrapposizione viscerale, quella che vede da una parte il popolo inteso come massa indistinta, e dall’ altra, la ricca borghesia, il c.d. nobilato bianco o nero che sia, la massoneria, il clero delle alte gerarchie, si frantumerebbe a sua volta e, in definitiva, non avrebbe ragion d’essere perché i piani di confronto sarebbero disomogenei. I contrasti verrebbero a galla, sarebbero, quindi visibili e verrebbero, conseguentemente, risolti, solo se effettivi e concreti, su situazioni specifiche, non come ora, con riferimento alle categorie di portata generale e nazionale dei “reazionari” e “rivoluzionari”, “conservatori” e “progressisti”, qualificazioni superate dalla Storia, che, finalmente, sarebbero superate anche nella nostra quotidianità e cronaca attuale; potremmo anzi essere noi, una volta tanto, modello e guida per altri popoli.
La stessa sorte, in non piccola parte collimante con quanto appena osservato sulle divisioni basate sul censo, toccherebbe alle situazioni politiche che si fronteggiano, come la Grande Destra (o Grande Centro-Destra che dir si voglia) e Grande Sinistra ( o Centro- Sinistra), semplicemente perché non esisterebbero più. Ogni Stato Confederato, fermi restando i comuni principi, interessi, intenti di crescita economica, culturale, scientifica, artistica, di benessere sociale, di tradizioni, di irrinunciabile fratellanza, per cui mai potrebbero esserci ostilità interne dirette, sarebbe governato nel modo liberamente scelto dagli elettori di appartenenza.
Il controllo del territorio sarebbe più vicino e pregnante; anche l’amministrazione della Giustizia sarebbe più rapida e vicina ai problemi degli Italiani, liberata dai ceppi della centralità e omogeneità per imposizione calata ciecamente in contesti sociali assolutamente disomogenei.
Le capacità e le peculiarità di soluzioni immediate e inventiva degli Italiani emergerebbero e si rafforzerebbero.
Le scuole, con diversificate politiche e gestioni, si misurerebbero tra di loro, che so, la scuola partenopea con quella lombarda, la fiorentina con la ligure piuttosto che con la bolognese, e così via, e non parlo solo di arti e mestieri, licei e Università, emulandosi, immancabilmente migliorerebbero e si migliorerebbero a vicenda. Verrebbero allora sì fuori le intelligenze più elevate, i cervelli che, con tutta probabilità, non fuggirebbero più all’estero, ma anzi richiamerebbero qui altri cervelli e investimenti.
In altri termini, esploderebbero le contraddizioni, come si diceva, si configurerebbe come vincente la terapia d’urto, la ponderata e graduale utilizzazione proprio del virus che si vuole combattere.
Sarebbe assolutamente orribile tutto questo? Io direi il contrario. Visto così, davvero sembrerebbe un sogno; pur dovendosi riconoscere che, come in tutte le cose, anche qui ci sono i pro e i contro, come ad esempio la sfida di responsabilità per un meccanismo politico e organizzativo complessivamente più articolato e la delicatezza della gestione della separatezza.
Ma alla fine tutto funzionerebbe come un orologio svizzero (appunto) e, alla celebrazione del 200° anniversario dell’Unità d’Italia e della liberazione (questo è importante e quasi sempre viene sottovalutato) dall’Austria, dalle dinastie di provenienza ispanica, dall’influenza dominante di Francia e Inghilterra, dall’invadenza del potere temporale della Chiesa, dall’autoritarismo e provincialismo dei Granducati, attraverso l’affermazione dell’unità nella libertà, non ci sarebbe, certamente, nulla da invidiare alle celebrazioni degli altri popoli.
Suscitava davvero grande emozione vedere le strade gremite di gente in festa; si aveva quasi la sensazione di un corpo unico, ma potremmo anche togliere il quasi. Vero o apparente che fosse, qui il discorso non è di cronaca, ma di considerazioni astratte di riferimento, quello spettacolo induceva ad immaginare un popolo assolutamente unito e orgoglioso, come se non esistessero classi, partiti, appartenenze religiose e territoriali.
Tutti uniti per quell’irrinunziabile minimo comune denominatore della salvaguardia del benessere pubblico e del prestigio, della proiezione verso il futuro del loro Paese, con la forza trainante e rassicurante del passato. Persino l’estrema destra era affratellata da questo spirito, alle altre espressioni socioculturali, non esclusa la sinistra più battagliera; persino i Maghrebini si sentivano e professavano francesi al 100%.
Eppure divisioni politiche, etniche, religiose, anche lì, non mancano, c’è una sinistra radicale, come una destra, c’è integralismo religioso ed etnico, c’è un midi anche in Francia.
Ora, ritornando dalle nostre parti, faccio enorme fatica ad immaginarmi qualcosa di simile anche qui.
L’odio di classe (ricchi e poveri; oltre all’area snob della nobiltà o pseudo-tale, un po’ di qua un po’ di là, ma prevalentemente… di là) ce lo portiamo appresso come il dna; c’è una inconciliabile divisione tra Nord e Sud; un razzismo latente, ma poi neanche tanto, serpeggia nell’animo di tutti, non solo verso altre etnie e altri popoli, ma anche, reciprocamente, tra settentrionali (da Roma in su) e meridionali (in giù – la città di Roma poi è strapazzata da un parte e dall’altra, ma va affermandosi la collocazione-lega al Sud); la divisione religiosa, sostanzialmente incentrata su Cattolici da una parte e Non Cattolici (dove c’è di tutto, inutile specificare) è manichea e ineluttabile; sul fronte politico la contrapposizione Destra/ Sinistra, di remoto retaggio, ma accentuatasi a dismisura col sistema maggioritario è di impronta sostanzialmente estremista e caratterizzata fondamentalmente da odio reciproco.
Immaginiamoci un settentrionale ricco, di destra e cattolico da una parte e un meridionale povero, di sinistra e ateo da un’altra parte, in una discussione sulle rispettive ricette per il governo dell’Italia. Prima o poi si azzufferebbero, come avviene tra esagitati tifosi di calcio (ma anche tra esponenti politici, le cui uscite in TV sono, a volte, surreali); e in mezzo ci sono molteplici variazioni e gradazioni, ma tutte in senso antagonista e intollerante.
Questa è l’Italia, di oggi per moltissime ragioni che si omette qui di esaminare, essendo diverso lo scopo del presente elaborato. Certo fa male al cuore vedere i campi sportivi del resto d’Europa, pur con notevoli e pericolosi eccessi anche lì (evidentemente fronteggiati e tenuti sotto controllo ed osservazione in modo abbastanza efficace), senza gabbie, recinti ecc., con i giocatori quasi a contatto con il pubblico, mentre qui ogni fine settimana è una guerra.
Ora in tale situazione ci accingiamo ad intraprendere iniziative varie, anzi la macchina celebrativa già si muove, per il 150mo anniversario dell’Unità d’Italia, evento non dissimile dall’esempio francese di cui sopra.
Che cosa c’è da immaginare?
In tutte le sedi, televisive, di piazza, di palazzo, nella migliore delle ipotesi, sorrisi melensi e chiacchiere ipocrite tra berlusconiani (dove poi si distinguono e si contrappongono quelli che vogliono i voti per Berlusconi, quelli che vogliono da quest’ultimo soldi, posti, favori, o a loro volta, appoggi politici, artistici, professionali, semmai uno spicchietto o uno spicchione di potere, quelli che strumentalizzano Berlusconi ad altri fini – v. Lega per il federalismo, quelli che, più o meno sotto sotto, preparano il terreno per l’immancabile dopo…, ecc.) e antiberlusconiani (dove pure c’è di tutto in lotta tra tutti: centro, sinistra anche estrema, finiani, democratici in eterna contesa per trovare una leadership, anarchici, qualunquisti e così via); tra cattolici (con varie categorie di antiaboristi, antidivorzisti, antipreservativo, antiricerche varie, antieducazione sessuale, antifamiglie di fatto, antiomosessuali, antimusulmani, anti-altre religioni ecc) e non cattolici (ma italiani? Nonché extracomunitari? Atei? Per caso gay? Appartenenti ad altre religioni tra di loro altrettanto incompatibili?); tra “appartenenti alle classi più abbienti (ma anche qui un ricco ed affermato dirigente o professionista ecc. è un poveraccio al confronto di un Berlusconi, un Tronchetti Provera, una Marcegaglia ecc.)” e c.d. “lavoratori” (dove non manca di farsi viva la solita guerra tra poveri, per cui gli operai si guardano in cagnesco con gli impiegati, e, tra questi, c’è acredine tra i pubblici e i privati); sulla contrapposizione Nord/ Sud (accentuata dal dilagare della Lega) inutile spendere altre parole, basti qui far mente locale ad un mixage tra i vari contrasti sopra menzionati, con in più la solfa Nord/ Sud che vale a rimettere in discussione anche gli equilibri già raggiunti in altre collocazioni. Basti pensare a quante se ne dicono o, in teoria, potrebbero dirsene un cattolico (antiaborista, anti…, anti…, anti ecc.) di Pordenone e un cattolico (parimenti anti…, anti, anti…) di Canicattì, o due berlusconiani (o anti), ma uno di Treviso, e un altro di Catanzaro.
A questo punto vado momentaneamente fuori tema per ricordare come, a partire da Carlo Marx in poi, tutti gli intellettuali, i politici di ogni tendenza, le persone di buon senso e di buona volontà, hanno sempre considerato che le contraddizioni nella società e nell’individuo, devo esplodere per progredire (basta cercare su Google la frase “far esplodere le contraddizioni” per rendersene conto).
In altri termini, se vuoi raggiungere un obiettivo non devi disdegnare, in presenza di condizioni che lo richiedano, di agire in modo addirittura opposto all’obiettivo stesso (la cd. terapia d’urto, o, come nelle vaccinazioni, la somministrazione calibrata e ponderata del morbo stesso che si vuole combattere).
Dobbiamo allora chiederci, stando così le cose, se non sia il caso di cambiare strategia.
Il mio vuole essere un tono provocatorio, eccentrico e semiserio, va da sé, però non lo dico neanche come qualcosa di cui ridere. Vorrei che si riflettesse un po’ su queste cose, nient’altro.
In sostanza, dico io, vogliamo essere aggregati come non mai, compatti come i Francesi? Perché non provare, allora, a disgregare tutto?
Perché non celebrare, su questo abbrivio, il 150° anniversario dell’Unità d’Italia (anche) con un convegno.
Tema del convegno “LE DIVISIONI D’ITALIA”.
In tal caso io proporrei (il tono è sempre quello “provocatorio, eccentrico, semiserio, ma non troppo”) la seguente soluzione:
Divisione dell’Italia in Stati fortemente confederati tra loro, con libera circolazione ed unità di indirizzo, ad es.:
Lombardo-Veneto allargato all’ex Stato sabaudo, Liguria, Emilia-Romagna, nonché Regioni del Nord (nel contesto il Sud Tirolo potrebbe realizzare il suo sogno: fuori dall’Italia e dal bilancio dello Stato italiano – e qui magari il sogno andrebbe sfumandosi, ma non si può avere tutto). Una specie di Repubblica Subalpina, diciamo così.
Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio (compresa forse la Sardegna ed esclusa Roma capitale e satelliti, che continuerebbe ad essere la Città Eterna, la Roma dei Cesari, dei Papi e dei Popoli, e che avrebbe comunque ruolo di centralità e rappresentanza verso l’estero), le Regioni Unite dell’Italia Centrale.
Finalmente la gloriosa Repubblica Partenopea, tutte le Regioni del Sud (compresa o esclusa la Sicilia, che potrebbe avere una collocazione a sé stante, secondo la volontà dei Siciliani stessi).
Quali sarebbero i risultati? Secondo me, a parte quello psicologico di grande liberazione e gioia costruttiva, un risultato di forte unità (chi è più unito di chi non è costretto ad essere unito, ma usufruisce semplicemente di condizioni geografiche, storiche, culturali ed ambientali? Esempi a iosa qui: gli Stati Uniti d’America, la Svizzera, gli stessi Paesi Bassi), progresso e crescita industriale ed economica.
Si stempererebbero naturalmente le contrapposizioni Nord/ Sud; si svilupperebbe una benefica concorrenza in tutti i campi e segnatamente quello turistico (nel quale il nostro Paese, in men che non si dica si collocherebbe ai vertici mondiali).
La struttura coriacea, diciamo pure burocratica e istituzionale del Cattolicesimo, per cui esso si identifica come un polo, rispetto al quale ogni altra aggregazione di idee, di uomini, di tradizioni, di religioni o filosofie frutto del libero pensiero, persino di correnti o tendenze artistiche, costituisce il polo contrapposto, che deriva oggi dalla centralità del Vaticano, parallela e combaciante con la centralità dello Stato Italiano, si disperderebbe e diffonderebbe (come avviene oggi rispetto agli altri Stati) nelle varie realtà decentrate e delle relative organizzazioni e comunità clericali, e non sarebbe più occasione di frizioni, prevaricazioni, e, a volte dure o durissime lotte e contese, come sul divorzio, sull’aborto, sull’eutanasia, sull’educazione sessuale e così via.
Il popolo sarebbe sempre il popolo ad ogni latitudine; sono convinto che quel che unisce tutti i popoli del Mondo, non ha nulla a che vedere con i confini territoriali. La vanga, l’aratro, la vite da coltivare e la legna da ardere, lo scalpello e il martello, il compasso ed ogni altro attrezzo, e i loro derivati moderni, dai computer alle catene di montaggio, tutto questo unisce i popoli del Mondo, come i libri vengono letti da tutti gli intellettuali del Mondo e li uniscono e i mercati dove si vende e si compra e, come si sa, le leggi sono invariate ad ogni latitudine.
Non ci sono contrapposizioni e divisioni qui, se non quelle fisiologiche dei mestieri e delle idee.
La contrapposizione viscerale, quella che vede da una parte il popolo inteso come massa indistinta, e dall’ altra, la ricca borghesia, il c.d. nobilato bianco o nero che sia, la massoneria, il clero delle alte gerarchie, si frantumerebbe a sua volta e, in definitiva, non avrebbe ragion d’essere perché i piani di confronto sarebbero disomogenei. I contrasti verrebbero a galla, sarebbero, quindi visibili e verrebbero, conseguentemente, risolti, solo se effettivi e concreti, su situazioni specifiche, non come ora, con riferimento alle categorie di portata generale e nazionale dei “reazionari” e “rivoluzionari”, “conservatori” e “progressisti”, qualificazioni superate dalla Storia, che, finalmente, sarebbero superate anche nella nostra quotidianità e cronaca attuale; potremmo anzi essere noi, una volta tanto, modello e guida per altri popoli.
La stessa sorte, in non piccola parte collimante con quanto appena osservato sulle divisioni basate sul censo, toccherebbe alle situazioni politiche che si fronteggiano, come la Grande Destra (o Grande Centro-Destra che dir si voglia) e Grande Sinistra ( o Centro- Sinistra), semplicemente perché non esisterebbero più. Ogni Stato Confederato, fermi restando i comuni principi, interessi, intenti di crescita economica, culturale, scientifica, artistica, di benessere sociale, di tradizioni, di irrinunciabile fratellanza, per cui mai potrebbero esserci ostilità interne dirette, sarebbe governato nel modo liberamente scelto dagli elettori di appartenenza.
Il controllo del territorio sarebbe più vicino e pregnante; anche l’amministrazione della Giustizia sarebbe più rapida e vicina ai problemi degli Italiani, liberata dai ceppi della centralità e omogeneità per imposizione calata ciecamente in contesti sociali assolutamente disomogenei.
Le capacità e le peculiarità di soluzioni immediate e inventiva degli Italiani emergerebbero e si rafforzerebbero.
Le scuole, con diversificate politiche e gestioni, si misurerebbero tra di loro, che so, la scuola partenopea con quella lombarda, la fiorentina con la ligure piuttosto che con la bolognese, e così via, e non parlo solo di arti e mestieri, licei e Università, emulandosi, immancabilmente migliorerebbero e si migliorerebbero a vicenda. Verrebbero allora sì fuori le intelligenze più elevate, i cervelli che, con tutta probabilità, non fuggirebbero più all’estero, ma anzi richiamerebbero qui altri cervelli e investimenti.
In altri termini, esploderebbero le contraddizioni, come si diceva, si configurerebbe come vincente la terapia d’urto, la ponderata e graduale utilizzazione proprio del virus che si vuole combattere.
Sarebbe assolutamente orribile tutto questo? Io direi il contrario. Visto così, davvero sembrerebbe un sogno; pur dovendosi riconoscere che, come in tutte le cose, anche qui ci sono i pro e i contro, come ad esempio la sfida di responsabilità per un meccanismo politico e organizzativo complessivamente più articolato e la delicatezza della gestione della separatezza.
Ma alla fine tutto funzionerebbe come un orologio svizzero (appunto) e, alla celebrazione del 200° anniversario dell’Unità d’Italia e della liberazione (questo è importante e quasi sempre viene sottovalutato) dall’Austria, dalle dinastie di provenienza ispanica, dall’influenza dominante di Francia e Inghilterra, dall’invadenza del potere temporale della Chiesa, dall’autoritarismo e provincialismo dei Granducati, attraverso l’affermazione dell’unità nella libertà, non ci sarebbe, certamente, nulla da invidiare alle celebrazioni degli altri popoli.
sabato 1 gennaio 2011
Il bandolo della matassa
A CHE PUNTO SIAMO allo scadere del I° DECENNIO del XXI Secolo
Abbiamo il peggior debito pubblico d’Europa, una crescita praticamente inesistente, gli stipendi più bassi e le tasse più alte, con le quali paghiamo servizi tra i più scadenti dell’Unione; il sistema fiscale più complesso e macchinoso che sgretola sotto il suo peso tanto l’iniziativa imprenditoriale, quanto il potere di acquisto delle pensioni.
La spesa pubblica è importante ma improduttiva, la scuola fabbrica ignoranza e cade a pezzi, gli investimenti sulla ricerca sono a zero, così come ridotti al lumicino quelli sulle opere pubbliche, le più lente d’Europa a partire ed arrivare.
Avviare un’azienda è un azzardo, vivere nel nostro Paese è costosissimo, non si trova lavoro e i giovani invecchiano in casa guardando la televisione.
Bruciamo capitale umano, disperdiamo risorse. I settori in cui primeggiamo richiedono investimenti che non facciamo, e sembra inevitabile che tra qualche anno, anche in questi ambiti verremo risucchiati dalle classifiche. Combattiamo con la corruzione e con una giustizia interessata, lenta ed inefficiente (tranne encomiabili ma isolate e, a volte sospette, eccezioni), la politica mette in scena un conflitto tanto violento quanto inutile sul quale si regge una classe dirigente sfibrata e inconcludente, che cerca rifugio nelle nenie populiste.
Fonte:”Zona retrocessione” Rizzoli Ed. di Giovanni Floris.
Libero adattamento di blande argomentazioni (a questo punto) dove si omette di prendere in considerazione l’evasione fiscale più alta, tra i Paesi omologhi, del Mondo, i conflitti d’interesse (non solo quelli del Premier) più diffusi e devastanti, gli apparati istituzionale e burocratico veri e propri elefanti pigri e voraci, la criminalità organizzata più agguerrita e ramificata, la stampa scadente e imbavagliata, l’ingerenza del Vaticano attraverso la C.E.I. e il suo potere sociale ed economico, più invasivo in assoluto.
Ma ora siamo nel 2011
Abbiamo il peggior debito pubblico d’Europa, una crescita praticamente inesistente, gli stipendi più bassi e le tasse più alte, con le quali paghiamo servizi tra i più scadenti dell’Unione; il sistema fiscale più complesso e macchinoso che sgretola sotto il suo peso tanto l’iniziativa imprenditoriale, quanto il potere di acquisto delle pensioni.
La spesa pubblica è importante ma improduttiva, la scuola fabbrica ignoranza e cade a pezzi, gli investimenti sulla ricerca sono a zero, così come ridotti al lumicino quelli sulle opere pubbliche, le più lente d’Europa a partire ed arrivare.
Avviare un’azienda è un azzardo, vivere nel nostro Paese è costosissimo, non si trova lavoro e i giovani invecchiano in casa guardando la televisione.
Bruciamo capitale umano, disperdiamo risorse. I settori in cui primeggiamo richiedono investimenti che non facciamo, e sembra inevitabile che tra qualche anno, anche in questi ambiti verremo risucchiati dalle classifiche. Combattiamo con la corruzione e con una giustizia interessata, lenta ed inefficiente (tranne encomiabili ma isolate e, a volte sospette, eccezioni), la politica mette in scena un conflitto tanto violento quanto inutile sul quale si regge una classe dirigente sfibrata e inconcludente, che cerca rifugio nelle nenie populiste.
Fonte:”Zona retrocessione” Rizzoli Ed. di Giovanni Floris.
Libero adattamento di blande argomentazioni (a questo punto) dove si omette di prendere in considerazione l’evasione fiscale più alta, tra i Paesi omologhi, del Mondo, i conflitti d’interesse (non solo quelli del Premier) più diffusi e devastanti, gli apparati istituzionale e burocratico veri e propri elefanti pigri e voraci, la criminalità organizzata più agguerrita e ramificata, la stampa scadente e imbavagliata, l’ingerenza del Vaticano attraverso la C.E.I. e il suo potere sociale ed economico, più invasivo in assoluto.
Ma ora siamo nel 2011
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